Rompere le Righe: la Scelta della Destinazione
Dire che ho sempre desiderato andare in Messico sarebbe una bugia. Anzi, nonostante abbia visto Coco due volte e pianto a dirotto in entrambe le occasioni, il Messico non è mai nemmeno rientrato nella mia lista dei paesi da visitare. Penso sia parte dell’istinto umano pensare a un viaggio prendendo in considerazione quelli che a me piace chiamare «luoghi-somma». La logica che ci aggancia a questo tipo di destinazione è generalmente dovuta al postulato secondo cui a me persona A corrisponde destinazione B. A deciderlo sono io, ma anche la somma dei desideri che ho, i quali sono in parte, non tutti, a loro volta l’esito di stimoli esterni derivanti da lavoro, studio, famiglia, amici e attitudini della società in cui sono immerso. Ammetto di aver messo inconsciamente in atto questo meccanismo il giorno in cui ho capito che era arrivato il momento di partire per una nuova avventura. E non sarebbe stato sbagliato perché avrei scelto con consapevolezza una destinazione in grado di animare la mia curiosità. Qualcosa però mi ha fatto fermare e chiedere: dov’è che non sto ancora immaginando di andare? Che cosa non ho ancora imparato a fare? Chi non so ancora di essere? Credo che dentro di me si stesse facendo largo la volontà di immaginarmi fuori dagli schemi, dalle variabili che mi definiscono o mi sono attribuite, per andare oltre. Indubbiamente l’atto del viaggiare è sempre e comunque incanto e scoperta, ma ci sono dei viaggi in particolare che dicono di noi più di quanto siamo disposti ad ammettere, e questa esperienza mi ha insegnato che i viaggi che dicono di più sono proprio quelli a cui pensiamo di meno. Il resto è storia. Una googlata qua, una googlata là e sono arrivata su Macondo. No, non quella di García Márquez, che pure non era niente male. Sono arrivata su Macondo Expeditions!
L’Itinerario in Breve: tra Giungle Urbane, Terre Sconfinate e Paesi Felici
Città del Messico
L’Expedition “Surf De Los Muertos” è iniziata nella Ciudad, una metropoli dalla grandezza sconvolgente e a tratti perturbante che ha sul visitatore un impatto condizionato dalle prospettive: guardandola dall’alto si prova assoluta meraviglia, ci si sente protagonisti volatili di un film muto che scorre dal finestrino dell’aereo e sembra non avere fine. Camminando per le strade, invece, i cinque sensi esplodono e un groviglio di case e corpi si consegna a noi nelle sembianze di un luogo cosmopolita e chiassoso, disinibito in certi quartieri e ribelle in altri. Città del Messico, però, è anche come una donna guardinga e gentile, incita all’esplorazione e al contempo invita alla prudenza regalando preziosi scorci, murales variopinti e siti storici.
La giungla urbana di Città del Messico lascia poi spazio ai paesaggi sconfinati che la separano da Oaxaca, più a sud. In questa porzione di territorio la natura inscena uno spettacolo a cielo aperto dove le piante di agave si alternano a quelle di cactus, quest’ultime lasciano spazio ad alberi di ogni tipo, i quali cedono il passo a campi di fiori e via dicendo. Consiglierei a chiunque voglia percorrere queste strade ben asfaltate di farlo in autobus (ci sono varie compagnie e ci si sposta senza pericoli) per assicurarsi il privilegio di ammirare il panorama al di là del finestrino: selvatico, incontaminato e mai uguale a se stesso.
Oaxaca e Puerto Escondido
Oaxaca è una terra semplice dal nome complesso. È una terra semplice per la sua conformazione e la gente che la abita, mentre il nome è complesso perché ci vogliono più o meno cinque tacos piccanti per imparare ad aspirare la X nel mezzo. Non è ancora una meta in preda al turismo di massa, è un centro vivace che vale la pena visitare, soprattutto nel periodo che precede il Dia de los Muertos. In questi giorni, infatti, le strade già di per sé colorate (le tinte delle case sono diverse tra loro e le insegne dei negozi sono dipinte a mano) si caricano delle fiammeggianti sfumature dei vestiti tradizionali e dei papeles picados, ovvero riquadri di carta velina ritagliata che riproducono scheletri e altri elementi correlati ai festeggiamenti. Oaxaca è un tripudio di musica, vivacità e partecipazione di cui i messicani per primi fanno esperienza, ogni viaggiatore lo percepisce sulla pelle e diventa parte della comunità a tutti gli effetti.
La stessa sensazione si vive anche a pochi chilometri di distanza, in un paesino di mare che si chiama Puerto Escondido. Si dice che Puerto Escondido debba il suo nome a una leggenda: molto tempo fa, una ragazza indigena in fuga dai pirati si è nascosta lì senza mai più essere ritrovata e, da allora, vive libera nella natura. Questa favola mi è tornata in mente a più riprese durante le giornate trascorse in riva all’oceano, e mi sono resa conto che la sua storia non è poi così diversa dalla mia (e da quella di molte altre persone che, come me, prima o poi approdano lì). Puerto Escondido è un luogo pacifico in cui le schitarrate messicane riempiono case, taxi, ostelli, negozi, locali; è un ritrovo per surfisti padroni delle onde e surfisti inconsapevoli che imparano a cavalcarle con pazienza; una dimensione spensierata dove puoi passeggiare ogni giorno a piedi scalzi per le stradine di Punta Zicatela. Insomma Puerto Escondido è, insomma, uno di quei posti dove finisci se vuoi rallentare. Oppure, se ancora non sai di voler rallentare, è un luogo che ti ricorda quanto sia importante fermarsi, guardare l’orizzonte e, semplicemente, respirare.
Morelia e Pátzcuaro
La regione di Michoacán dista circa cinque ore in autobus dalla Ciudad, andando verso nord. Del Michoacán gli abitanti esaltano la purezza e la dignità, la fedeltà e la bellezza. Qué lindo es Michoacán dice una canzone messicana, e lo è davvero. Il Michoacán è un posto meraviglioso popolato da persone altrettanto belle. Non è il Messico vivace ed esuberante di Oaxaca, ma un Messico più silenzioso dove l’orgoglio per la terra fa lo stesso rumore assordante di una banda di musicisti, di quelle che durante il Dia de los Muertos sarebbero capaci di animare interi cimiteri. Due perle che suggerirei di vedere a chiunque voglia vivere profondamente la vicinanza con la tradizione della Noche de Ánimas (che è come qui chiamano il Dia de los Muertos) sono Morelia e Pátzcuaro, entrambe località affascinanti, teatro di magiche suggestioni. Sì perché qui, lontano dai centri più battuti, tra un burrito e una bancarella d’artigianato, sembra di vivere le atmosfere commoventi di Coco: dai lustrascarpe che presidiano le piazze in attesa di clienti, ai cani scodinzolanti che scorrazzano per le strade, alle abuelitas che spalancano le porte delle proprie case per accogliere i compaesani dal mondo dei vivi e i loro cari dal mondo dei morti.
Il Dia de Los Muertos e l’Incontro con Doña Viviana
Se chiudessi gli occhi ed evocassi il mio viaggio in Messico con un solo fotogramma, la mia mente proietterebbe senza alcun dubbio un’immagine della Doña Viviana. Nella commistione caotica che è oggi questa grandiosa festa a metà tra Halloween e il ritorno dei morti, una vecchietta di quasi novant’anni ha iniziato a realizzare candele, in spagnolo velas. È la signora Viviana, appunto. Vive da sempre a Teotitlán del Valle, nella regione di Oaxaca, e ha una di quelle case familiari con cortile, sala per l’altare e un’ala esterna che è il suo personale laboratorio artistico. Viviana ha radici zapoteche (zapoteco è chi discende da una popolazione indigena precolombiana insediatasi nella regione di Oaxaca) e questo fa di lei la depositaria di una cultura profondamente legata ai riti più ancestrali della tradizione del Dia de los Muertos. Al centro di questi riti sembrano essere determinanti le candele, e Viviana ha parlato con un ardore commovente di come la luce fioca ma luminosa che sprigionano le velas, insieme ai petali arancioni dei cempasúchil, ricordi alle anime la strada verso casa, dove chi è in vita è pronto a banchettare con pan de muerto e mezcal.
La domanda però è una sola e sorge spontanea: i muertiti tornano davvero? Sì, tornano davvero, e su questo Doña Viviana non ha dubbi, non a caso prepara ogni anno l’altare per il suo esposo riempiendo due cicchetti di mezcal per il loro ritrovo, uno per lui e uno per lei. Subito dopo mi ha chiesto come si festeggiassero i morti dalle mie parti. Io ho esitato, ma poi le ho risposto che tendiamo a vivere la morte con dolore e andiamo a trovare i cari al cimitero solo il 2 Novembre (se va bene!). Lei è rimasta zitta e mi ha fissato con occhi increduli. All’inizio mi sono sentita studiata, Viviana si stava palesemente chiedendo come fosse possibile che la cosa mi lasciasse così indifferente. Ammetto che mi ha messo in soggezione, ma mi ha anche fatto fare delle domande. Per essere sicura me lo ha richiesto: quindi non ci credi? Sono rimasta in silenzio e l’ho osservata: i piedi scalzi ruvidi e sporchi di terra, il vestito ricoperto di cera colata, le rughe del viso. Sembrava una cosa sola con le sue candele. Sembrava lei stessa una candela.
México Mágico: Conclusioni
Tornare a casa dopo un viaggio così immersivo e trasformativo vuol dire aprire la valigia e, dopo aver separato con attenzione i regali dalla biancheria da lavare, fare i conti con quello che ti sei portato dietro. Ogni viaggio ci cambia, ma ci sono viaggi che cambiano più di altri, soprattutto se – come dicevo all’inizio – la meta può dirci di noi più di quanto siamo disposti ad ammettere a noi stessi.
A volte abbiamo solo bisogno di spingerci oltre i nostri limiti per capire cosa siamo in grado di fare, dove possiamo arrivare, se siamo felici della vita che abbiamo.
In questo processo, che è esteriore, è utile mettersi in discussione e aprirsi ad accogliere (anche per pochi giorni) uno stile di vita che parla col cuore al nostro cuore, nonostante non sappiamo bene perché.
In questo processo, che è anche e soprattutto interiore, è indispensabile ridefinirsi continuamente e con onestà, perché le strade che abbiamo sono tante e siamo noi a decidere quali percorrere. Possiamo restare dentro confini sicuri oppure osare, la decisione spetta a noi. Il Messico è stato magico, anzi direi mágico. Mágico vuol dire letteralmente «magico» e i messicani lo usano col significato di «bello». Non solo. Quando si beve il mezcal si usa dire: “El mezcal te pone mágico”. Il mezcal rende brilli? Se si esagera, forse sì. Se però lo sorseggi al tramonto, di fronte a te la natura e ti fermi a pensare, ti rendi conto che ti senti mágico e questo ti permette di vedere le cose da prospettive nuove e che senza il qui e ora non avresti mai immaginato.
Rompere le Righe: la Scelta della Destinazione
Dire che ho sempre desiderato andare in Messico sarebbe una bugia. Anzi, nonostante abbia visto Coco due volte e pianto a dirotto in entrambe le occasioni, il Messico non è mai nemmeno rientrato nella mia lista dei paesi da visitare. Penso sia parte dell’istinto umano pensare a un viaggio prendendo in considerazione quelli che a me piace chiamare «luoghi-somma». La logica che ci aggancia a questo tipo di destinazione è generalmente dovuta al postulato secondo cui a me persona A corrisponde destinazione B. A deciderlo sono io, ma anche la somma dei desideri che ho, i quali sono in parte, non tutti, a loro volta l’esito di stimoli esterni derivanti da lavoro, studio, famiglia, amici e attitudini della società in cui sono immerso. Ammetto di aver messo inconsciamente in atto questo meccanismo il giorno in cui ho capito che era arrivato il momento di partire per una nuova avventura. E non sarebbe stato sbagliato perché avrei scelto con consapevolezza una destinazione in grado di animare la mia curiosità. Qualcosa però mi ha fatto fermare e chiedere: dov’è che non sto ancora immaginando di andare? Che cosa non ho ancora imparato a fare? Chi non so ancora di essere? Credo che dentro di me si stesse facendo largo la volontà di immaginarmi fuori dagli schemi, dalle variabili che mi definiscono o mi sono attribuite, per andare oltre. Indubbiamente l’atto del viaggiare è sempre e comunque incanto e scoperta, ma ci sono dei viaggi in particolare che dicono di noi più di quanto siamo disposti ad ammettere, e questa esperienza mi ha insegnato che i viaggi che dicono di più sono proprio quelli a cui pensiamo di meno. Il resto è storia. Una googlata qua, una googlata là e sono arrivata su Macondo. No, non quella di García Márquez, che pure non era niente male. Sono arrivata su Macondo Expeditions!
L’Itinerario in Breve: tra Giungle Urbane, Terre Sconfinate e Paesi Felici
Città del Messico
L’Expedition “Surf De Los Muertos” è iniziata nella Ciudad, una metropoli dalla grandezza sconvolgente e a tratti perturbante che ha sul visitatore un impatto condizionato dalle prospettive: guardandola dall’alto si prova assoluta meraviglia, ci si sente protagonisti volatili di un film muto che scorre dal finestrino dell’aereo e sembra non avere fine. Camminando per le strade, invece, i cinque sensi esplodono e un groviglio di case e corpi si consegna a noi nelle sembianze di un luogo cosmopolita e chiassoso, disinibito in certi quartieri e ribelle in altri. Città del Messico, però, è anche come una donna guardinga e gentile, incita all’esplorazione e al contempo invita alla prudenza regalando preziosi scorci, murales variopinti e siti storici.
La giungla urbana di Città del Messico lascia poi spazio ai paesaggi sconfinati che la separano da Oaxaca, più a sud. In questa porzione di territorio la natura inscena uno spettacolo a cielo aperto dove le piante di agave si alternano a quelle di cactus, quest’ultime lasciano spazio ad alberi di ogni tipo, i quali cedono il passo a campi di fiori e via dicendo. Consiglierei a chiunque voglia percorrere queste strade ben asfaltate di farlo in autobus (ci sono varie compagnie e ci si sposta senza pericoli) per assicurarsi il privilegio di ammirare il panorama al di là del finestrino: selvatico, incontaminato e mai uguale a se stesso.
Oaxaca e Puerto Escondido
Oaxaca è una terra semplice dal nome complesso. È una terra semplice per la sua conformazione e la gente che la abita, mentre il nome è complesso perché ci vogliono più o meno cinque tacos piccanti per imparare ad aspirare la X nel mezzo. Non è ancora una meta in preda al turismo di massa, è un centro vivace che vale la pena visitare, soprattutto nel periodo che precede il Dia de los Muertos. In questi giorni, infatti, le strade già di per sé colorate (le tinte delle case sono diverse tra loro e le insegne dei negozi sono dipinte a mano) si caricano delle fiammeggianti sfumature dei vestiti tradizionali e dei papeles picados, ovvero riquadri di carta velina ritagliata che riproducono scheletri e altri elementi correlati ai festeggiamenti. Oaxaca è un tripudio di musica, vivacità e partecipazione di cui i messicani per primi fanno esperienza, ogni viaggiatore lo percepisce sulla pelle e diventa parte della comunità a tutti gli effetti.
La stessa sensazione si vive anche a pochi chilometri di distanza, in un paesino di mare che si chiama Puerto Escondido. Si dice che Puerto Escondido debba il suo nome a una leggenda: molto tempo fa, una ragazza indigena in fuga dai pirati si è nascosta lì senza mai più essere ritrovata e, da allora, vive libera nella natura. Questa favola mi è tornata in mente a più riprese durante le giornate trascorse in riva all’oceano, e mi sono resa conto che la sua storia non è poi così diversa dalla mia (e da quella di molte altre persone che, come me, prima o poi approdano lì). Puerto Escondido è un luogo pacifico in cui le schitarrate messicane riempiono case, taxi, ostelli, negozi, locali; è un ritrovo per surfisti padroni delle onde e surfisti inconsapevoli che imparano a cavalcarle con pazienza; una dimensione spensierata dove puoi passeggiare ogni giorno a piedi scalzi per le stradine di Punta Zicatela. Insomma Puerto Escondido è, insomma, uno di quei posti dove finisci se vuoi rallentare. Oppure, se ancora non sai di voler rallentare, è un luogo che ti ricorda quanto sia importante fermarsi, guardare l’orizzonte e, semplicemente, respirare.
Morelia e Pátzcuaro
La regione di Michoacán dista circa cinque ore in autobus dalla Ciudad, andando verso nord. Del Michoacán gli abitanti esaltano la purezza e la dignità, la fedeltà e la bellezza. Qué lindo es Michoacán dice una canzone messicana, e lo è davvero. Il Michoacán è un posto meraviglioso popolato da persone altrettanto belle. Non è il Messico vivace ed esuberante di Oaxaca, ma un Messico più silenzioso dove l’orgoglio per la terra fa lo stesso rumore assordante di una banda di musicisti, di quelle che durante il Dia de los Muertos sarebbero capaci di animare interi cimiteri. Due perle che suggerirei di vedere a chiunque voglia vivere profondamente la vicinanza con la tradizione della Noche de Ánimas (che è come qui chiamano il Dia de los Muertos) sono Morelia e Pátzcuaro, entrambe località affascinanti, teatro di magiche suggestioni. Sì perché qui, lontano dai centri più battuti, tra un burrito e una bancarella d’artigianato, sembra di vivere le atmosfere commoventi di Coco: dai lustrascarpe che presidiano le piazze in attesa di clienti, ai cani scodinzolanti che scorrazzano per le strade, alle abuelitas che spalancano le porte delle proprie case per accogliere i compaesani dal mondo dei vivi e i loro cari dal mondo dei morti.
Il Dia de Los Muertos e l’Incontro con Doña Viviana
Se chiudessi gli occhi ed evocassi il mio viaggio in Messico con un solo fotogramma, la mia mente proietterebbe senza alcun dubbio un’immagine della Doña Viviana. Nella commistione caotica che è oggi questa grandiosa festa a metà tra Halloween e il ritorno dei morti, una vecchietta di quasi novant’anni ha iniziato a realizzare candele, in spagnolo velas. È la signora Viviana, appunto. Vive da sempre a Teotitlán del Valle, nella regione di Oaxaca, e ha una di quelle case familiari con cortile, sala per l’altare e un’ala esterna che è il suo personale laboratorio artistico. Viviana ha radici zapoteche (zapoteco è chi discende da una popolazione indigena precolombiana insediatasi nella regione di Oaxaca) e questo fa di lei la depositaria di una cultura profondamente legata ai riti più ancestrali della tradizione del Dia de los Muertos. Al centro di questi riti sembrano essere determinanti le candele, e Viviana ha parlato con un ardore commovente di come la luce fioca ma luminosa che sprigionano le velas, insieme ai petali arancioni dei cempasúchil, ricordi alle anime la strada verso casa, dove chi è in vita è pronto a banchettare con pan de muerto e mezcal.
La domanda però è una sola e sorge spontanea: i muertiti tornano davvero? Sì, tornano davvero, e su questo Doña Viviana non ha dubbi, non a caso prepara ogni anno l’altare per il suo esposo riempiendo due cicchetti di mezcal per il loro ritrovo, uno per lui e uno per lei. Subito dopo mi ha chiesto come si festeggiassero i morti dalle mie parti. Io ho esitato, ma poi le ho risposto che tendiamo a vivere la morte con dolore e andiamo a trovare i cari al cimitero solo il 2 Novembre (se va bene!). Lei è rimasta zitta e mi ha fissato con occhi increduli. All’inizio mi sono sentita studiata, Viviana si stava palesemente chiedendo come fosse possibile che la cosa mi lasciasse così indifferente. Ammetto che mi ha messo in soggezione, ma mi ha anche fatto fare delle domande. Per essere sicura me lo ha richiesto: quindi non ci credi? Sono rimasta in silenzio e l’ho osservata: i piedi scalzi ruvidi e sporchi di terra, il vestito ricoperto di cera colata, le rughe del viso. Sembrava una cosa sola con le sue candele. Sembrava lei stessa una candela.
México Mágico: Conclusioni
Tornare a casa dopo un viaggio così immersivo e trasformativo vuol dire aprire la valigia e, dopo aver separato con attenzione i regali dalla biancheria da lavare, fare i conti con quello che ti sei portato dietro. Ogni viaggio ci cambia, ma ci sono viaggi che cambiano più di altri, soprattutto se – come dicevo all’inizio – la meta può dirci di noi più di quanto siamo disposti ad ammettere a noi stessi.
A volte abbiamo solo bisogno di spingerci oltre i nostri limiti per capire cosa siamo in grado di fare, dove possiamo arrivare, se siamo felici della vita che abbiamo.
In questo processo, che è esteriore, è utile mettersi in discussione e aprirsi ad accogliere (anche per pochi giorni) uno stile di vita che parla col cuore al nostro cuore, nonostante non sappiamo bene perché.
In questo processo, che è anche e soprattutto interiore, è indispensabile ridefinirsi continuamente e con onestà, perché le strade che abbiamo sono tante e siamo noi a decidere quali percorrere. Possiamo restare dentro confini sicuri oppure osare, la decisione spetta a noi. Il Messico è stato magico, anzi direi mágico. Mágico vuol dire letteralmente «magico» e i messicani lo usano col significato di «bello». Non solo. Quando si beve il mezcal si usa dire: “El mezcal te pone mágico”. Il mezcal rende brilli? Se si esagera, forse sì. Se però lo sorseggi al tramonto, di fronte a te la natura e ti fermi a pensare, ti rendi conto che ti senti mágico e questo ti permette di vedere le cose da prospettive nuove e che senza il qui e ora non avresti mai immaginato.
Rompere le Righe: la Scelta della Destinazione
Dire che ho sempre desiderato andare in Messico sarebbe una bugia. Anzi, nonostante abbia visto Coco due volte e pianto a dirotto in entrambe le occasioni, il Messico non è mai nemmeno rientrato nella mia lista dei paesi da visitare. Penso sia parte dell’istinto umano pensare a un viaggio prendendo in considerazione quelli che a me piace chiamare «luoghi-somma». La logica che ci aggancia a questo tipo di destinazione è generalmente dovuta al postulato secondo cui a me persona A corrisponde destinazione B. A deciderlo sono io, ma anche la somma dei desideri che ho, i quali sono in parte, non tutti, a loro volta l’esito di stimoli esterni derivanti da lavoro, studio, famiglia, amici e attitudini della società in cui sono immerso. Ammetto di aver messo inconsciamente in atto questo meccanismo il giorno in cui ho capito che era arrivato il momento di partire per una nuova avventura. E non sarebbe stato sbagliato perché avrei scelto con consapevolezza una destinazione in grado di animare la mia curiosità. Qualcosa però mi ha fatto fermare e chiedere: dov’è che non sto ancora immaginando di andare? Che cosa non ho ancora imparato a fare? Chi non so ancora di essere? Credo che dentro di me si stesse facendo largo la volontà di immaginarmi fuori dagli schemi, dalle variabili che mi definiscono o mi sono attribuite, per andare oltre. Indubbiamente l’atto del viaggiare è sempre e comunque incanto e scoperta, ma ci sono dei viaggi in particolare che dicono di noi più di quanto siamo disposti ad ammettere, e questa esperienza mi ha insegnato che i viaggi che dicono di più sono proprio quelli a cui pensiamo di meno. Il resto è storia. Una googlata qua, una googlata là e sono arrivata su Macondo. No, non quella di García Márquez, che pure non era niente male. Sono arrivata su Macondo Expeditions!
L’Itinerario in Breve: tra Giungle Urbane, Terre Sconfinate e Paesi Felici
Città del Messico
L’Expedition “Surf De Los Muertos” è iniziata nella Ciudad, una metropoli dalla grandezza sconvolgente e a tratti perturbante che ha sul visitatore un impatto condizionato dalle prospettive: guardandola dall’alto si prova assoluta meraviglia, ci si sente protagonisti volatili di un film muto che scorre dal finestrino dell’aereo e sembra non avere fine. Camminando per le strade, invece, i cinque sensi esplodono e un groviglio di case e corpi si consegna a noi nelle sembianze di un luogo cosmopolita e chiassoso, disinibito in certi quartieri e ribelle in altri. Città del Messico, però, è anche come una donna guardinga e gentile, incita all’esplorazione e al contempo invita alla prudenza regalando preziosi scorci, murales variopinti e siti storici.
La giungla urbana di Città del Messico lascia poi spazio ai paesaggi sconfinati che la separano da Oaxaca, più a sud. In questa porzione di territorio la natura inscena uno spettacolo a cielo aperto dove le piante di agave si alternano a quelle di cactus, quest’ultime lasciano spazio ad alberi di ogni tipo, i quali cedono il passo a campi di fiori e via dicendo. Consiglierei a chiunque voglia percorrere queste strade ben asfaltate di farlo in autobus (ci sono varie compagnie e ci si sposta senza pericoli) per assicurarsi il privilegio di ammirare il panorama al di là del finestrino: selvatico, incontaminato e mai uguale a se stesso.
Oaxaca e Puerto Escondido
Oaxaca è una terra semplice dal nome complesso. È una terra semplice per la sua conformazione e la gente che la abita, mentre il nome è complesso perché ci vogliono più o meno cinque tacos piccanti per imparare ad aspirare la X nel mezzo. Non è ancora una meta in preda al turismo di massa, è un centro vivace che vale la pena visitare, soprattutto nel periodo che precede il Dia de los Muertos. In questi giorni, infatti, le strade già di per sé colorate (le tinte delle case sono diverse tra loro e le insegne dei negozi sono dipinte a mano) si caricano delle fiammeggianti sfumature dei vestiti tradizionali e dei papeles picados, ovvero riquadri di carta velina ritagliata che riproducono scheletri e altri elementi correlati ai festeggiamenti. Oaxaca è un tripudio di musica, vivacità e partecipazione di cui i messicani per primi fanno esperienza, ogni viaggiatore lo percepisce sulla pelle e diventa parte della comunità a tutti gli effetti.
La stessa sensazione si vive anche a pochi chilometri di distanza, in un paesino di mare che si chiama Puerto Escondido. Si dice che Puerto Escondido debba il suo nome a una leggenda: molto tempo fa, una ragazza indigena in fuga dai pirati si è nascosta lì senza mai più essere ritrovata e, da allora, vive libera nella natura. Questa favola mi è tornata in mente a più riprese durante le giornate trascorse in riva all’oceano, e mi sono resa conto che la sua storia non è poi così diversa dalla mia (e da quella di molte altre persone che, come me, prima o poi approdano lì). Puerto Escondido è un luogo pacifico in cui le schitarrate messicane riempiono case, taxi, ostelli, negozi, locali; è un ritrovo per surfisti padroni delle onde e surfisti inconsapevoli che imparano a cavalcarle con pazienza; una dimensione spensierata dove puoi passeggiare ogni giorno a piedi scalzi per le stradine di Punta Zicatela. Insomma Puerto Escondido è, insomma, uno di quei posti dove finisci se vuoi rallentare. Oppure, se ancora non sai di voler rallentare, è un luogo che ti ricorda quanto sia importante fermarsi, guardare l’orizzonte e, semplicemente, respirare.
Morelia e Pátzcuaro
La regione di Michoacán dista circa cinque ore in autobus dalla Ciudad, andando verso nord. Del Michoacán gli abitanti esaltano la purezza e la dignità, la fedeltà e la bellezza. Qué lindo es Michoacán dice una canzone messicana, e lo è davvero. Il Michoacán è un posto meraviglioso popolato da persone altrettanto belle. Non è il Messico vivace ed esuberante di Oaxaca, ma un Messico più silenzioso dove l’orgoglio per la terra fa lo stesso rumore assordante di una banda di musicisti, di quelle che durante il Dia de los Muertos sarebbero capaci di animare interi cimiteri. Due perle che suggerirei di vedere a chiunque voglia vivere profondamente la vicinanza con la tradizione della Noche de Ánimas (che è come qui chiamano il Dia de los Muertos) sono Morelia e Pátzcuaro, entrambe località affascinanti, teatro di magiche suggestioni. Sì perché qui, lontano dai centri più battuti, tra un burrito e una bancarella d’artigianato, sembra di vivere le atmosfere commoventi di Coco: dai lustrascarpe che presidiano le piazze in attesa di clienti, ai cani scodinzolanti che scorrazzano per le strade, alle abuelitas che spalancano le porte delle proprie case per accogliere i compaesani dal mondo dei vivi e i loro cari dal mondo dei morti.
Il Dia de Los Muertos e l’Incontro con Doña Viviana
Se chiudessi gli occhi ed evocassi il mio viaggio in Messico con un solo fotogramma, la mia mente proietterebbe senza alcun dubbio un’immagine della Doña Viviana. Nella commistione caotica che è oggi questa grandiosa festa a metà tra Halloween e il ritorno dei morti, una vecchietta di quasi novant’anni ha iniziato a realizzare candele, in spagnolo velas. È la signora Viviana, appunto. Vive da sempre a Teotitlán del Valle, nella regione di Oaxaca, e ha una di quelle case familiari con cortile, sala per l’altare e un’ala esterna che è il suo personale laboratorio artistico. Viviana ha radici zapoteche (zapoteco è chi discende da una popolazione indigena precolombiana insediatasi nella regione di Oaxaca) e questo fa di lei la depositaria di una cultura profondamente legata ai riti più ancestrali della tradizione del Dia de los Muertos. Al centro di questi riti sembrano essere determinanti le candele, e Viviana ha parlato con un ardore commovente di come la luce fioca ma luminosa che sprigionano le velas, insieme ai petali arancioni dei cempasúchil, ricordi alle anime la strada verso casa, dove chi è in vita è pronto a banchettare con pan de muerto e mezcal.
La domanda però è una sola e sorge spontanea: i muertiti tornano davvero? Sì, tornano davvero, e su questo Doña Viviana non ha dubbi, non a caso prepara ogni anno l’altare per il suo esposo riempiendo due cicchetti di mezcal per il loro ritrovo, uno per lui e uno per lei. Subito dopo mi ha chiesto come si festeggiassero i morti dalle mie parti. Io ho esitato, ma poi le ho risposto che tendiamo a vivere la morte con dolore e andiamo a trovare i cari al cimitero solo il 2 Novembre (se va bene!). Lei è rimasta zitta e mi ha fissato con occhi increduli. All’inizio mi sono sentita studiata, Viviana si stava palesemente chiedendo come fosse possibile che la cosa mi lasciasse così indifferente. Ammetto che mi ha messo in soggezione, ma mi ha anche fatto fare delle domande. Per essere sicura me lo ha richiesto: quindi non ci credi? Sono rimasta in silenzio e l’ho osservata: i piedi scalzi ruvidi e sporchi di terra, il vestito ricoperto di cera colata, le rughe del viso. Sembrava una cosa sola con le sue candele. Sembrava lei stessa una candela.
México Mágico: Conclusioni
Tornare a casa dopo un viaggio così immersivo e trasformativo vuol dire aprire la valigia e, dopo aver separato con attenzione i regali dalla biancheria da lavare, fare i conti con quello che ti sei portato dietro. Ogni viaggio ci cambia, ma ci sono viaggi che cambiano più di altri, soprattutto se – come dicevo all’inizio – la meta può dirci di noi più di quanto siamo disposti ad ammettere a noi stessi.
A volte abbiamo solo bisogno di spingerci oltre i nostri limiti per capire cosa siamo in grado di fare, dove possiamo arrivare, se siamo felici della vita che abbiamo.
In questo processo, che è esteriore, è utile mettersi in discussione e aprirsi ad accogliere (anche per pochi giorni) uno stile di vita che parla col cuore al nostro cuore, nonostante non sappiamo bene perché.
In questo processo, che è anche e soprattutto interiore, è indispensabile ridefinirsi continuamente e con onestà, perché le strade che abbiamo sono tante e siamo noi a decidere quali percorrere. Possiamo restare dentro confini sicuri oppure osare, la decisione spetta a noi. Il Messico è stato magico, anzi direi mágico. Mágico vuol dire letteralmente «magico» e i messicani lo usano col significato di «bello». Non solo. Quando si beve il mezcal si usa dire: “El mezcal te pone mágico”. Il mezcal rende brilli? Se si esagera, forse sì. Se però lo sorseggi al tramonto, di fronte a te la natura e ti fermi a pensare, ti rendi conto che ti senti mágico e questo ti permette di vedere le cose da prospettive nuove e che senza il qui e ora non avresti mai immaginato.