Quando il Mondo Diventa Casa: Parliamo di Workation
La prima volta che ho pronunciato la parola trip working parlando con una persona appartenente alla famosa generazione dei Boomers (alias 72 anni) sono stata guardata in maniera sospettosa, come se avessi detto un qualcosa di familiare ma allo stesso tempo con un sottofondo di poca chiarezza. “Non ho capito che fai a lavoro?”. Ora, lungi da me dal voler scadere nella tradizionale querelle generazionale, ma sicuramente la reazione è stata dettata dalla poca conoscenza di un fenomeno che non apparterrà mai alla generazione dei nostri genitori o dei nostri nonni. Quando però sono stata coinvolta io, in una conversazione avente come oggetto il sopracitato trip working, mi sono banalmente detta: significa lavorare a distanza, però mentre si è in viaggio per motivi di piacere.
Oddio.
Per coloro i quali, come me, sono abituati a un lavoro prevalentemente da scrivania, il tavolo di legno con quattro piedi dalla forma rettangolare rappresenta l’approdo da cui difficilmente riesci a sciogliere gli ormeggi. L’agenda, il planning per tenere sotto controllo lo scorrere dei giorni, la pausa caffè con i colleghi, possono essere quelle poche certezze abitudinarie a cui, le persone sistematiche come me, si aggrappano. In nome della gestione e dell’organizzazione del lavoro.
Ma nella vita bisogna sperimentare? Sì, sempre. I limiti vanno superati facendo un passettino alla volta. Iniziamo con il capirci qualcosa in più.
Workation, Lavoro ma in Vacanza
Il termine tecnico, per chi ama i termini tecnici, è workation (“work” lavoro e “vacation” vacanza) ossia la possibilità di lavorare da remoto in un luogo dove ci si è spostati per concedersi un viaggio di piacere.
Il punto sta nel riuscire a trovare un equilibrio tra la scoperta dei luoghi, della cultura e delle tradizioni, relax e l’attività lavorativa. Una sfida per certi versi, in cui mettere alla prova la propria comfort zone e sperimentare qualcosa di nuovo. La pandemia, in particolare i lunghi periodi di lockdown, hanno sdoganato lo smart working, e soprattutto hanno reso tangibile quali fossero le attività che potevano essere svolte tranquillamente da casa, senza il bisogno di recarsi in ufficio.
Chi può fare workation?
Tutti coloro i quali lavorano con un laptop e una connessione Wi-fi. Ma soprattutto chi lavora per aziende che permettono ai propri dipendenti di spostarsi e lavorare a distanza. Da questo poi ne scaturisce anche la lunghezza del periodo di vacanza e quindi quanto si può rimanere a distanza senza creare ricadute sui colleghi o sugli obiettivi. Le realtà aziendali in Europa stanno dando la possibilità ai dipendenti di viaggiare senza dover rinunciare al lavoro, portando con sé in vacanza una sorta di ufficio virtuale a portata di computer, anche sulla spiaggia o su un rifugio in montagna.
Quali sono i benefici?
Dare la possibilità di fare workation, rientra nel quadro di una filosofia aziendale lungimirante, dove il benessere del dipendente viene messo in primo piano.
I tempi di lavoro vengono ottimizzati, l’umore è migliore e lo stress viene drasticamente diminuito. Il tutto raggiunge un valore aggiunto se si riescono a conciliare anche azioni sostenibili e green in viaggio. E poi, se si vuole viaggiare lavorando, è giusto farsi contaminare dalle persone del posto, senza stancarsi mai di conoscere e ampliare i propri orizzonti. Uscire dal proprio cantuccio fa bene, soprattutto comprendere come gira il mondo dall’altro lato dell’emisfero.
Ma invece, quando parliamo di Nomadismo Digitale?
Il Fenomeno del Nomadismo Digitale
Il Nomadismo digitale è sempre esistito. Però sicuramente il post pandemia è stato un acceleratore incredibile. I Millenials e la Gen Z ci sguazzano nel cercare lavori che permettano una forte mobilità e di conseguenza anche la società insegue questo trend, modulando l’aspetto urbanistico con realtà come hub e spazi di coworking. Non si tratta di una vacanza, bensì di lavorare viaggiando tutto l’anno.
Ma andiamo con ordine. Oggi si contano circa 35 milioni di nomadi digitali nel mondo, quasi più della metà della popolazione italiana. Il fenomeno del lavoro itinerante non è una moda, anzi, è un radicale cambiamento antropologico che stravolge non solo le modalità in cui svolgere il proprio lavoro ma anche il luogo dove vivere. Non esiste più una fissa dimora ma per scelta “il mondo diventa casa”. Lo so, potrebbe sembrare una tipica frase da Baci Perugina, però in essa si racchiude un concetto molto semplice: la ricerca di una dimensione di vita che riesca a conciliare la necessità di svolgere un lavoro per mantenersi e il bisogno di libertà di spazio e di tempo.
È una scelta di vita che cambia radicalmente il modo in cui gestiamo e assecondiamo i nostri bisogni e desideri.
Tutto ciò però deve comunque essere fatto con molta cautela, infatti il nomade digitale deve tenere conto del quadro normativo vigente nei paesi in cui si trasferisce per brevi o lunghi periodi. Tra gli aspetti da valutare emerge sicuramente la compliance amministrativa, fiscale e previdenziale che cambia a seconda della natura lavorativa (lavoro dipendente, Partita IVA etc…) ma anche la connessione internet, il costo della vita e degli affitti, la sicurezza e le politiche del Paese.
Moltissimi Stati nel mondo rilasciano dei visti che permettono ai nomadi digitali di stare in un paese per un arco di tempo che va dai 6 mesi a un anno ma ci sono alcuni paesi che hanno aumentato gli incentivi proprio per essere competitivi nel diventare destinazione ambite.
In Europa, abbiamo Malta, Grecia, Spagna e le isole Canarie - il visto in questi Paesi si può prorogare per due anni, godendo di un’aliquota fiscale del 15% anziché del 24% - ma anche paesi meno caldi come l’Estonia, che, però, ammette un reddito minimo netto da dichiarare di 3.504 euro al mese. Bali, invece, ha annunciato l’introduzione di un nuovo visto denominato Second-Home Visa che consente alle persone di restare lì per 10 anni. Ci sono anche le isole Cayman che offrono opportunità anche per coloro che viaggiano con la famiglia e Dubai, che offre un visto di lavoro virtuale. (FONTE ANSA)
Provare, Provare, Provare, Provare…
In Macondo si pratica il trip working o workation, come preferite chiamarlo. Vincenzo ed Emanuela circa una settimana fa sono finiti a 2.300 metri di altitudine sulle montagne del Grande Caucaso, accolti da una famiglia di pastori Azeri in uno degli insediamenti permanenti più in alto d’Europa.
Mi sono posta anche io questo obiettivo per mettermi alla prova, anche se opterò sicuramente per un posto caldo e un’altitudine più bassa… diciamo vicino a una spiaggia sarebbe meglio!
Quando il Mondo Diventa Casa: Parliamo di Workation
La prima volta che ho pronunciato la parola trip working parlando con una persona appartenente alla famosa generazione dei Boomers (alias 72 anni) sono stata guardata in maniera sospettosa, come se avessi detto un qualcosa di familiare ma allo stesso tempo con un sottofondo di poca chiarezza. “Non ho capito che fai a lavoro?”. Ora, lungi da me dal voler scadere nella tradizionale querelle generazionale, ma sicuramente la reazione è stata dettata dalla poca conoscenza di un fenomeno che non apparterrà mai alla generazione dei nostri genitori o dei nostri nonni. Quando però sono stata coinvolta io, in una conversazione avente come oggetto il sopracitato trip working, mi sono banalmente detta: significa lavorare a distanza, però mentre si è in viaggio per motivi di piacere.
Oddio.
Per coloro i quali, come me, sono abituati a un lavoro prevalentemente da scrivania, il tavolo di legno con quattro piedi dalla forma rettangolare rappresenta l’approdo da cui difficilmente riesci a sciogliere gli ormeggi. L’agenda, il planning per tenere sotto controllo lo scorrere dei giorni, la pausa caffè con i colleghi, possono essere quelle poche certezze abitudinarie a cui, le persone sistematiche come me, si aggrappano. In nome della gestione e dell’organizzazione del lavoro.
Ma nella vita bisogna sperimentare? Sì, sempre. I limiti vanno superati facendo un passettino alla volta. Iniziamo con il capirci qualcosa in più.
Workation, Lavoro ma in Vacanza
Il termine tecnico, per chi ama i termini tecnici, è workation (“work” lavoro e “vacation” vacanza) ossia la possibilità di lavorare da remoto in un luogo dove ci si è spostati per concedersi un viaggio di piacere.
Il punto sta nel riuscire a trovare un equilibrio tra la scoperta dei luoghi, della cultura e delle tradizioni, relax e l’attività lavorativa. Una sfida per certi versi, in cui mettere alla prova la propria comfort zone e sperimentare qualcosa di nuovo. La pandemia, in particolare i lunghi periodi di lockdown, hanno sdoganato lo smart working, e soprattutto hanno reso tangibile quali fossero le attività che potevano essere svolte tranquillamente da casa, senza il bisogno di recarsi in ufficio.
Chi può fare workation?
Tutti coloro i quali lavorano con un laptop e una connessione Wi-fi. Ma soprattutto chi lavora per aziende che permettono ai propri dipendenti di spostarsi e lavorare a distanza. Da questo poi ne scaturisce anche la lunghezza del periodo di vacanza e quindi quanto si può rimanere a distanza senza creare ricadute sui colleghi o sugli obiettivi. Le realtà aziendali in Europa stanno dando la possibilità ai dipendenti di viaggiare senza dover rinunciare al lavoro, portando con sé in vacanza una sorta di ufficio virtuale a portata di computer, anche sulla spiaggia o su un rifugio in montagna.
Quali sono i benefici?
Dare la possibilità di fare workation, rientra nel quadro di una filosofia aziendale lungimirante, dove il benessere del dipendente viene messo in primo piano.
I tempi di lavoro vengono ottimizzati, l’umore è migliore e lo stress viene drasticamente diminuito. Il tutto raggiunge un valore aggiunto se si riescono a conciliare anche azioni sostenibili e green in viaggio. E poi, se si vuole viaggiare lavorando, è giusto farsi contaminare dalle persone del posto, senza stancarsi mai di conoscere e ampliare i propri orizzonti. Uscire dal proprio cantuccio fa bene, soprattutto comprendere come gira il mondo dall’altro lato dell’emisfero.
Ma invece, quando parliamo di Nomadismo Digitale?
Il Fenomeno del Nomadismo Digitale
Il Nomadismo digitale è sempre esistito. Però sicuramente il post pandemia è stato un acceleratore incredibile. I Millenials e la Gen Z ci sguazzano nel cercare lavori che permettano una forte mobilità e di conseguenza anche la società insegue questo trend, modulando l’aspetto urbanistico con realtà come hub e spazi di coworking. Non si tratta di una vacanza, bensì di lavorare viaggiando tutto l’anno.
Ma andiamo con ordine. Oggi si contano circa 35 milioni di nomadi digitali nel mondo, quasi più della metà della popolazione italiana. Il fenomeno del lavoro itinerante non è una moda, anzi, è un radicale cambiamento antropologico che stravolge non solo le modalità in cui svolgere il proprio lavoro ma anche il luogo dove vivere. Non esiste più una fissa dimora ma per scelta “il mondo diventa casa”. Lo so, potrebbe sembrare una tipica frase da Baci Perugina, però in essa si racchiude un concetto molto semplice: la ricerca di una dimensione di vita che riesca a conciliare la necessità di svolgere un lavoro per mantenersi e il bisogno di libertà di spazio e di tempo.
È una scelta di vita che cambia radicalmente il modo in cui gestiamo e assecondiamo i nostri bisogni e desideri.
Tutto ciò però deve comunque essere fatto con molta cautela, infatti il nomade digitale deve tenere conto del quadro normativo vigente nei paesi in cui si trasferisce per brevi o lunghi periodi. Tra gli aspetti da valutare emerge sicuramente la compliance amministrativa, fiscale e previdenziale che cambia a seconda della natura lavorativa (lavoro dipendente, Partita IVA etc…) ma anche la connessione internet, il costo della vita e degli affitti, la sicurezza e le politiche del Paese.
Moltissimi Stati nel mondo rilasciano dei visti che permettono ai nomadi digitali di stare in un paese per un arco di tempo che va dai 6 mesi a un anno ma ci sono alcuni paesi che hanno aumentato gli incentivi proprio per essere competitivi nel diventare destinazione ambite.
In Europa, abbiamo Malta, Grecia, Spagna e le isole Canarie - il visto in questi Paesi si può prorogare per due anni, godendo di un’aliquota fiscale del 15% anziché del 24% - ma anche paesi meno caldi come l’Estonia, che, però, ammette un reddito minimo netto da dichiarare di 3.504 euro al mese. Bali, invece, ha annunciato l’introduzione di un nuovo visto denominato Second-Home Visa che consente alle persone di restare lì per 10 anni. Ci sono anche le isole Cayman che offrono opportunità anche per coloro che viaggiano con la famiglia e Dubai, che offre un visto di lavoro virtuale. (FONTE ANSA)
Provare, Provare, Provare, Provare…
In Macondo si pratica il trip working o workation, come preferite chiamarlo. Vincenzo ed Emanuela circa una settimana fa sono finiti a 2.300 metri di altitudine sulle montagne del Grande Caucaso, accolti da una famiglia di pastori Azeri in uno degli insediamenti permanenti più in alto d’Europa.
Mi sono posta anche io questo obiettivo per mettermi alla prova, anche se opterò sicuramente per un posto caldo e un’altitudine più bassa… diciamo vicino a una spiaggia sarebbe meglio!
Quando il Mondo Diventa Casa: Parliamo di Workation
La prima volta che ho pronunciato la parola trip working parlando con una persona appartenente alla famosa generazione dei Boomers (alias 72 anni) sono stata guardata in maniera sospettosa, come se avessi detto un qualcosa di familiare ma allo stesso tempo con un sottofondo di poca chiarezza. “Non ho capito che fai a lavoro?”. Ora, lungi da me dal voler scadere nella tradizionale querelle generazionale, ma sicuramente la reazione è stata dettata dalla poca conoscenza di un fenomeno che non apparterrà mai alla generazione dei nostri genitori o dei nostri nonni. Quando però sono stata coinvolta io, in una conversazione avente come oggetto il sopracitato trip working, mi sono banalmente detta: significa lavorare a distanza, però mentre si è in viaggio per motivi di piacere.
Oddio.
Per coloro i quali, come me, sono abituati a un lavoro prevalentemente da scrivania, il tavolo di legno con quattro piedi dalla forma rettangolare rappresenta l’approdo da cui difficilmente riesci a sciogliere gli ormeggi. L’agenda, il planning per tenere sotto controllo lo scorrere dei giorni, la pausa caffè con i colleghi, possono essere quelle poche certezze abitudinarie a cui, le persone sistematiche come me, si aggrappano. In nome della gestione e dell’organizzazione del lavoro.
Ma nella vita bisogna sperimentare? Sì, sempre. I limiti vanno superati facendo un passettino alla volta. Iniziamo con il capirci qualcosa in più.
Workation, Lavoro ma in Vacanza
Il termine tecnico, per chi ama i termini tecnici, è workation (“work” lavoro e “vacation” vacanza) ossia la possibilità di lavorare da remoto in un luogo dove ci si è spostati per concedersi un viaggio di piacere.
Il punto sta nel riuscire a trovare un equilibrio tra la scoperta dei luoghi, della cultura e delle tradizioni, relax e l’attività lavorativa. Una sfida per certi versi, in cui mettere alla prova la propria comfort zone e sperimentare qualcosa di nuovo. La pandemia, in particolare i lunghi periodi di lockdown, hanno sdoganato lo smart working, e soprattutto hanno reso tangibile quali fossero le attività che potevano essere svolte tranquillamente da casa, senza il bisogno di recarsi in ufficio.
Chi può fare workation?
Tutti coloro i quali lavorano con un laptop e una connessione Wi-fi. Ma soprattutto chi lavora per aziende che permettono ai propri dipendenti di spostarsi e lavorare a distanza. Da questo poi ne scaturisce anche la lunghezza del periodo di vacanza e quindi quanto si può rimanere a distanza senza creare ricadute sui colleghi o sugli obiettivi. Le realtà aziendali in Europa stanno dando la possibilità ai dipendenti di viaggiare senza dover rinunciare al lavoro, portando con sé in vacanza una sorta di ufficio virtuale a portata di computer, anche sulla spiaggia o su un rifugio in montagna.
Quali sono i benefici?
Dare la possibilità di fare workation, rientra nel quadro di una filosofia aziendale lungimirante, dove il benessere del dipendente viene messo in primo piano.
I tempi di lavoro vengono ottimizzati, l’umore è migliore e lo stress viene drasticamente diminuito. Il tutto raggiunge un valore aggiunto se si riescono a conciliare anche azioni sostenibili e green in viaggio. E poi, se si vuole viaggiare lavorando, è giusto farsi contaminare dalle persone del posto, senza stancarsi mai di conoscere e ampliare i propri orizzonti. Uscire dal proprio cantuccio fa bene, soprattutto comprendere come gira il mondo dall’altro lato dell’emisfero.
Ma invece, quando parliamo di Nomadismo Digitale?
Il Fenomeno del Nomadismo Digitale
Il Nomadismo digitale è sempre esistito. Però sicuramente il post pandemia è stato un acceleratore incredibile. I Millenials e la Gen Z ci sguazzano nel cercare lavori che permettano una forte mobilità e di conseguenza anche la società insegue questo trend, modulando l’aspetto urbanistico con realtà come hub e spazi di coworking. Non si tratta di una vacanza, bensì di lavorare viaggiando tutto l’anno.
Ma andiamo con ordine. Oggi si contano circa 35 milioni di nomadi digitali nel mondo, quasi più della metà della popolazione italiana. Il fenomeno del lavoro itinerante non è una moda, anzi, è un radicale cambiamento antropologico che stravolge non solo le modalità in cui svolgere il proprio lavoro ma anche il luogo dove vivere. Non esiste più una fissa dimora ma per scelta “il mondo diventa casa”. Lo so, potrebbe sembrare una tipica frase da Baci Perugina, però in essa si racchiude un concetto molto semplice: la ricerca di una dimensione di vita che riesca a conciliare la necessità di svolgere un lavoro per mantenersi e il bisogno di libertà di spazio e di tempo.
È una scelta di vita che cambia radicalmente il modo in cui gestiamo e assecondiamo i nostri bisogni e desideri.
Tutto ciò però deve comunque essere fatto con molta cautela, infatti il nomade digitale deve tenere conto del quadro normativo vigente nei paesi in cui si trasferisce per brevi o lunghi periodi. Tra gli aspetti da valutare emerge sicuramente la compliance amministrativa, fiscale e previdenziale che cambia a seconda della natura lavorativa (lavoro dipendente, Partita IVA etc…) ma anche la connessione internet, il costo della vita e degli affitti, la sicurezza e le politiche del Paese.
Moltissimi Stati nel mondo rilasciano dei visti che permettono ai nomadi digitali di stare in un paese per un arco di tempo che va dai 6 mesi a un anno ma ci sono alcuni paesi che hanno aumentato gli incentivi proprio per essere competitivi nel diventare destinazione ambite.
In Europa, abbiamo Malta, Grecia, Spagna e le isole Canarie - il visto in questi Paesi si può prorogare per due anni, godendo di un’aliquota fiscale del 15% anziché del 24% - ma anche paesi meno caldi come l’Estonia, che, però, ammette un reddito minimo netto da dichiarare di 3.504 euro al mese. Bali, invece, ha annunciato l’introduzione di un nuovo visto denominato Second-Home Visa che consente alle persone di restare lì per 10 anni. Ci sono anche le isole Cayman che offrono opportunità anche per coloro che viaggiano con la famiglia e Dubai, che offre un visto di lavoro virtuale. (FONTE ANSA)
Provare, Provare, Provare, Provare…
In Macondo si pratica il trip working o workation, come preferite chiamarlo. Vincenzo ed Emanuela circa una settimana fa sono finiti a 2.300 metri di altitudine sulle montagne del Grande Caucaso, accolti da una famiglia di pastori Azeri in uno degli insediamenti permanenti più in alto d’Europa.
Mi sono posta anche io questo obiettivo per mettermi alla prova, anche se opterò sicuramente per un posto caldo e un’altitudine più bassa… diciamo vicino a una spiaggia sarebbe meglio!